Gli oppositori del SI’ alla Riforma Costituzionale si stracciano le vesti, accusandola di aver ridotto la figura del presidente della repubblica ad un guscio vuoto, togliendogli ogni potere e lasciandogli solo una rappresentanza meramente formale.
A parte il fatto che – come vedremo – non è vero, è opportuno ripercorrere velocemente l’esegesi della Riforma.
Ad un afflato Federalista marcato dalla Lega, faceva da opportuno contrappeso il richiamo all’Unità di cui portabandiera era Alleanza Nazionale.
I primi per il maggior decentramento e autonomie locali possibili, i secondi per la Repubblica Presidenziale, cavallo di battaglia mai rinnegato da Giorgio Almirante in poi.
Sarebbe stata una ottima soluzione, all’americana: Federalismo abbinato al Presidenzialismo.
Il Presidente sarebbe stato il simbolo dell’Unità Nazionale, dotato di fortissimi poteri e con l’autorità che gli sarebbe derivata dall’elezione popolare.
Le autonomie locali avrebbero avuto più poteri amministrativi locali, ma non avrebbero potuto mettere a rischio l’Unità della Nazione avendo un interlocutore del “peso” di un simile Presidente.
Purtroppo tale soluzione sarebbe stata troppo evoluta per i nostalgici della prima republlica dei compromessi che allignano anche nella Casa delle Libertà e che portano il nome di Unione di Centro.
Così si è preferito edulcorare il Federalismo e mantenere la divisione delle cariche tra presidente della repubblica e primo ministro.
Optando per quella formula del “premierato forte” di ispirazione anglotedesca.
Se abbiamo già visto quali sono i poteri e le responsabilità del Primo Ministro, vediamo ora perché la sinistra, maggioritaria – per ora – per (colpo di) mano dei verbali degli scrutini elettorali pieni di ombre e sospetti anche per i voti delle circoscrizioni estere, mente anche sul ruolo del presidente della repubblica riformato e regolato negli articoli 83-91.
Innanzitutto l’estensione della base elettorale e l’ampliamento di un quorum qualificato fino alla quinta votazione compresa (art.83), rende il presidente della repubblica così eletto maggiormente rappresentativo.
La riduzione da 50 a 40 anni per l’eleggibilità, aumenta la platea dei papabili che, in futuro, potrebbero anche non essere quei personaggi che, al momento, non avrebbero sfigurato nella parata del 1° maggio nella vecchia Mosca sovietica, tra i componenti del politburo, sempre uguali, sempre imbalsamati.
Viene regolato il caso di “ingorgo istituzionale” senza che si debba aprire una crisi nel caso in cui non vi sia identità di vedute tra presidente e primo ministro.
I poteri del presidente della repubblica restano sostanzialmente invariati nelle fattispecie di rappresentanza, mentre acquisisce poteri di nomina per alti funzionari e Autorithy.
Vengono meno invece quelle facoltà che rendevano il presidente parte in causa nelle diatribe politiche.
In sostanza non avremo più i Gronchi che imponevano i Tambroni, non avremo più gli Scalfaro che tramavano contro Berlusconi facendosi mallevadori di ribaltoni, non avremo più i Ciampi che interferivano nella attività legislativa del Governo – rallentandone l’azione – e portando a modifiche dannose come il premio di maggioranza regionale per il Senato, anziché quello nazionale, nella nuova legge elettorale.
A parte il fatto che – come vedremo – non è vero, è opportuno ripercorrere velocemente l’esegesi della Riforma.
Ad un afflato Federalista marcato dalla Lega, faceva da opportuno contrappeso il richiamo all’Unità di cui portabandiera era Alleanza Nazionale.
I primi per il maggior decentramento e autonomie locali possibili, i secondi per la Repubblica Presidenziale, cavallo di battaglia mai rinnegato da Giorgio Almirante in poi.
Sarebbe stata una ottima soluzione, all’americana: Federalismo abbinato al Presidenzialismo.
Il Presidente sarebbe stato il simbolo dell’Unità Nazionale, dotato di fortissimi poteri e con l’autorità che gli sarebbe derivata dall’elezione popolare.
Le autonomie locali avrebbero avuto più poteri amministrativi locali, ma non avrebbero potuto mettere a rischio l’Unità della Nazione avendo un interlocutore del “peso” di un simile Presidente.
Purtroppo tale soluzione sarebbe stata troppo evoluta per i nostalgici della prima republlica dei compromessi che allignano anche nella Casa delle Libertà e che portano il nome di Unione di Centro.
Così si è preferito edulcorare il Federalismo e mantenere la divisione delle cariche tra presidente della repubblica e primo ministro.
Optando per quella formula del “premierato forte” di ispirazione anglotedesca.
Se abbiamo già visto quali sono i poteri e le responsabilità del Primo Ministro, vediamo ora perché la sinistra, maggioritaria – per ora – per (colpo di) mano dei verbali degli scrutini elettorali pieni di ombre e sospetti anche per i voti delle circoscrizioni estere, mente anche sul ruolo del presidente della repubblica riformato e regolato negli articoli 83-91.
Innanzitutto l’estensione della base elettorale e l’ampliamento di un quorum qualificato fino alla quinta votazione compresa (art.83), rende il presidente della repubblica così eletto maggiormente rappresentativo.
La riduzione da 50 a 40 anni per l’eleggibilità, aumenta la platea dei papabili che, in futuro, potrebbero anche non essere quei personaggi che, al momento, non avrebbero sfigurato nella parata del 1° maggio nella vecchia Mosca sovietica, tra i componenti del politburo, sempre uguali, sempre imbalsamati.
Viene regolato il caso di “ingorgo istituzionale” senza che si debba aprire una crisi nel caso in cui non vi sia identità di vedute tra presidente e primo ministro.
I poteri del presidente della repubblica restano sostanzialmente invariati nelle fattispecie di rappresentanza, mentre acquisisce poteri di nomina per alti funzionari e Autorithy.
Vengono meno invece quelle facoltà che rendevano il presidente parte in causa nelle diatribe politiche.
In sostanza non avremo più i Gronchi che imponevano i Tambroni, non avremo più gli Scalfaro che tramavano contro Berlusconi facendosi mallevadori di ribaltoni, non avremo più i Ciampi che interferivano nella attività legislativa del Governo – rallentandone l’azione – e portando a modifiche dannose come il premio di maggioranza regionale per il Senato, anziché quello nazionale, nella nuova legge elettorale.
E non è un caso se gli ultraottantenni ( e quasi novantenni) Ciampi e Scalfaro, siano contrari al SI', non riuscendo a capacitarsi che il mondo va avanti e non segna il passo come magari vorrebbero.
Il dominus della politica diventa il Primo Ministro, il presidente della repubblica assume un ruolo di garante della Unità, con funzioni che gli impongono l’astensione dalle interferenze e, pertanto, divenendo veramente quella figura super partes che, al momento, non è.
Il dominus della politica diventa il Primo Ministro, il presidente della repubblica assume un ruolo di garante della Unità, con funzioni che gli impongono l’astensione dalle interferenze e, pertanto, divenendo veramente quella figura super partes che, al momento, non è.
Il SI’ alla Riforma Costituzionale diviene così momento per nobilitare ed elevare, non sminuire, la figura del presidente della repubblica che diviene complementare, senza intersecare, a quella del Primo Ministro.
Precedenti post sulla Riforma del SI’
1) La dolce terra dove il SI' suona 2/6/2006
2) SI' per ridurre gli sprechi della politica 9/6/2006
Precedenti post sulla Riforma del SI’
1) La dolce terra dove il SI' suona 2/6/2006
2) SI' per ridurre gli sprechi della politica 9/6/2006
3) SI' alla efficienza.SI' alla governabilità 14/6/2006
4) SI' per eliminare l'assistenzialismo clientelare 17/6/2006
2 commenti:
Infatti sul discorso del presidente ridotto ad un guscio vuoto, abbiamo sentito ieri sera da Fassino, tutti quei giri di parole, al limite dell'incomprensibile, per cercare di dimostrare questa tesi, che pochi hanno capito.
Ed è pertanto fin troppo evidente che nè Scalfaro, nè Ciampi, nè tanto meno Napolitano non potranno mai essere veramente "super partes", come impone la Costituzione vigente , perchè troppo legati ai parlamentari che lo hanno prescelto ed eletto Presidente. Se gli stessi presidenti della Repubblica fossero eletti dal popolo, anzicche dal parlamento, sarebbero molto più autorevoli e godrebbero di maggior considerazione popolare.
Pertanto la nomina diretta del Primo Ministro, con più poteri, da parte degli elettori, è di gran lunga la soluzione migliore.
Al Presidente resterebbero comunque le altre prerogative descritte.
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