E una scelta politica può e deve essere contrastata, con ogni mezzo disponibile, da parte di chi la subisce.
E' la magistratura militante, invece, che agisce in modo improprio, usando la sua discrezionalità interpretativa, per dare soddisfazione alle proprie impostazioni ideologiche.
Ma se un magistrato non è in grado di operare senza l'influenza "di pancia" delle sue idee (in diversa sede più che legittime) è il potere legislativo, il parlamento, che deve intervenire per regolarne l'attività.
A cominciare dal sistema di reclutamento che, basato su un concorso pubblico, fa dei magistrati dei semplici impiegati statali, gratificati da un corposo stipendio.
Il sistema, invece, di netta separazione, anche nel reclutamento, tra giudicanti e inquisitori, garantirebbe una maggiore competenza, esperienza e concordanza con i sentimenti popolari.
Giudici nominati, in base alla corte di riferimento, dagli amministratori locali e nazionali, con conferma delle rispettive assemblee elettive e procuratori eletti ogni cinque anni dal Popolo che, a loro volta, nominano i loro sostituti scegliendoli tra avvocati dei fori di competenza (dove torneranno a lavorare al termine del mandato), quella è la prima soluzione da perseguire.
Renderebbe i procuratori sensibili alle esigenze espresse dai cittadini che li votano, impedirebbe un passaggio tra le due funzioni, eviterebbe la permanenza a vita dei procuratori e dei sostituti nei loro ruoli, provocando un salutare ricambio periodico.
Se, poi, l'Anm e magistrati vari volessero dire la loro sulle scelte politiche, non devono fare altro che presentarsi alle elezioni.
Così ci toglieremo tutti la curiosità di conoscere quanto valgono i magistrati senza lo scudo della toga.
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