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No alla deriva

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15 novembre 2006

A cosa serve il sindacato ?


Ancora una volta Libertyfighter mi fornisce lo spunto per un post, che è l’ideale continuazione di quello scritto l’8 novembre sulla necessità di non regalare i lavoratori dipendenti alla sinistra
Nel suo ultimo commento a tale post, Libertyfighter affronta quattro argomenti che possono far parte di un liberismo “spinto”:
1) la funzione del lavoro pubblico
2) il ruolo del sindacato nel contratto di lavoro
3) il valore del contratto nazionale
4) gli effetti dello sciopero.

Dal complesso di questi quattro punti, ne desume la dannosità del sindacato.
Sono d’accordo se vediamo il sindacato come è ridotto in Italia, il sindacato confederale, s’intende, non se ci manteniamo sul piano di come dovrebbe essere e di come potrebbe essere un sindacato che tuteli realmente gli interessi dei lavoratori che rappresenta nel quadro dell’interesse più generale dell’economia nazionale.
Diciamo intanto chiaramente che non si può pensare ad una società senza lavoratori pubblici.
Non può esistere per il semplice fatto che, anche volendo (e auspicando) la riduzione dello stato ai minimi termini, pur tuttavia ci deve essere del personale che operi nella pubblica amministrazione.
Certo le assunzioni clientelari che dal dopoguerra ad oggi hanno caratterizzato il nostro pubblico impiego devono essere confinate nei ricordi, ma una burocrazia efficiente deve basarsi su dipendenti pubblici ben remunerati, professionali e affidabili.
Ricordo anche, per inciso, che dipendenti pubblici sono anche i diplomatici, i Militari, le Forze dell’Ordine, i magistrati, gli insegnanti, non solo i famosi impiegati ministeriali, comunali, regionali, del catasto.
Quindi sì, al lavoro pubblico, adeguato ad uno stato presente al più basso livello possibile nella vita dei cittadini, con personale qualificato, fidato, ben remunerato, cioè in concorrenza con il corrispondente impiego privato.
Libertyfighter poi contesta l’intermediazione sindacale nella stipula dei contratti di lavoro e l’esistenza dei contratti nazionali che uniformano le condizioni.
Sul primo punto obietto che tra chi offre lavoro e chi presta lavoro c’è una tale disparità di “forza” contrattuale che il rapporto sarebbe totalmente sbilanciato a favore del primo, fino ad imporre condizioni che ripugnano alla coscienza civile in termini di impegni, retribuzione, orari, garanzie sulla sicurezza.
Anche qui inviterei a non avere in mente la corruzione del ruolo sindacale operata dal 1969 in poi dalla trimurti confederale, ma la necessità di una equa e paritaria conflittualità che deve coniugare, nell’interesse dell’economia aziendale, il diritto dell’imprenditore al guadagno, con l’analogo diritto del lavoratore a svolgere i suoi compiti professionali nelle condizioni migliori di sicurezza e con una retribuzione adeguata alle prestazioni.
L’unica possibilità che i prestatori d’opera possono avere per presentarsi dal datore di lavoro in condizioni di parità e contrattare è quella di unirsi e presentare richieste comuni.
Da qui l’esigenza di un organismo collegiale che divenga interlocutore paritario dell’imprenditore.
Sul secondo aspetto, il contratto nazionale, anche qui è un problema di equità, cioè di fornire con una contrattazione nazionale, delle condizioni minime che siano uguali per tutti quelli che svolgono lavori uguali o simili.
Poi che debba essere impressa una maggiore rilevanza ai contratti aziendali e/o territoriali è verissimo.
Aziendali perché, anche per merito o demerito dell’imprenditore, anche per merito o demerito dei lavoratori, due aziende che pure operano nel medesimo settore merceologico, potrebbero avere risultati differenti e non è né giusto, né opportuno, né educativo che differenti bilanci proiettino uguali risultati nelle tasche dei lavoratori.
Dare soluzioni uguali a situazioni differenti non incentiva la produzione e l’applicazione professionale ed è sintomo di profonda iniquità nel riparto delle risorse disponibili.
Per lo stesso motivo sono favorevolissimo a quelle che furono chiamate le “gabbie salariali”.
Una retribuzione uguale derivante da un contratto nazionale e/o aziendale, a due lavoratori che vivono in zone dove il costo della vita sia differente è un ingiusto arricchimento per quello che vive dove si spende di meno.
E’ quindi giusto inserire un correttivo territoriale alle retribuzione, avendo riguardo ad un parametro “100” individuato in una specifica località.
Così come varie rilevazioni hanno riguardo alle provincia e, all’interno di questa, alla differenza tra il comune capoluogo e i piccoli comuni del circondario, così anche per le retribuzioni potrebbe essere applicato un analogo criterio di differenziazione.
Questa sarebbe una miglioria dei contratti collettivi, integrati con quelli aziendali e territoriali, non una loro sconfessione.
Resta poi sempre la possibilità di trattative individuali, soprattutto per incarichi dirigenziali e particolari figure professionali (mi viene in mente, ad esempio, uno specialista informatico che sia assunto per seguire le linee di una grossa azineda nazionale o un avvocato che, sempre in una grossa azienda nazionale, ne divenga dipendente per seguire la contrattualistica,la consulenza o il recupero crediti) nulla vieta di integrare, anche qui, le previsioni generali con contratti personalizzati che tengano conto del valore professionale del singolo, della richiesta di tali specifiche prestazioni.
Veniamo quindi allo sciopero che Libertyfighter rivede in modo da non creare disagi agli utenti dei servizi, trattandosi di questione che deve riguardare esclusivamente l’ambito: datore/prestatore di lavoro.
Libertyfighter propone così l’assunzione temporanea di precari che svolgano il servizio in sostituzione degli scioperanti.
Il servizio si svolgerebbe senza danneggiare la cittadinanza, i lavoratori avrebbero il loro costo, ma l’azienda non avrebbe alcun danno tale da indurla a scendere a patti.
A parte il fatto che un servizio svolto da un lavoratore assunto ad hoc per un periodo limitato, magari di ore, non potrebbe essere all’altezza di quello svolto da un lavoratore professionale, la soluzione di Libertyfighter è sbilanciata, perché non prevede costi aziendali.
Il tema lo avevo affrontato il 17 gennaio scorso su Il Castello, prima che si trasformasse in aggregatore, con un post intitolato Lo sciopero del futuro al quale rimando, limitandomi a dire che lo sciopero che vedrei per il futuro è quello virtuale.
I lavoratori continuano a lavorare, versando la retribuzione delle ore di sciopero in un fondo di solidarietà o in un fondo pensioni integrativo, importo che viene raddoppiato da uguale versamento da parte aziendale.
I servizi restano attivi con i lavoratori professionalmente incaricati di essi, ma sia i lavoratori che l’azienda subiscono un danno patrimoniale che li spinge a trovare al più presto un accordo.
Non è il sindacato ad essere sbagliato, è l’abuso che la trimurti ha operato del ruolo sindacale, screditando l’intero movimento sindacale che, invece, ha un suo specifico ruolo nell’equilibrio del mondo del lavoro, nell’interesse generale dell’economia nazionale.

NOTA: nell'immagine un divertente manifesto inserito in un comunicato della Cgil nel corso di una polemica con il sindaco di Sanremo

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6 commenti:

Robinik ha detto...

Se l'argomento ti interessa ti consiglio vivamente questo libro che sposa la mia idea di sindacato.

Purtroppo ad oggi negoziamo con le stesse regole e gli stessi presunti presupposti di 50 anni fa. E' cambiato tutto (compreso il fatto che il potere contrattuale oggi è sbilanciato a favore del lavoratore ;) ).

Il sindacato deve essere il luogo dove il lavoratore può scommettere sull'impresa. Non il luogo delle tutele ad ogni costo che finiscono solo in sovvenzioni statali.

Ciao!

Anonimo ha detto...

come al solito si confonde lo strumento (sindacato) con la modalità del suo utilizzo...

il sindacato, come praticamente ogni cosa, è di per sè uno strumento molto potente a difesa dei lavoratori, ma se utilizzato in modo distorto e per interesse personale di pochi diventa OVVIAMENTE inutile e dannoso...la stessa cosa dicasi per Internet, il nucleare, ecc...

Anonimo ha detto...

Mah! I sindacati rappresentano ormai solo se stessi.
Faccio notare che nelle zone più industrializzate e fiorenti d'Italia come il Nord-Est si registra il minor tasso sindacalizzazione. Eppure da quelle parti c'è quasi la piena occupazione.
Cmq va fatta una riflessione più ampia. In Italia, direi "costituzionalmente", esistono i Lavoratori (ossia i lavoratori dipendenti) e i Non. Ai primi deve essere tutto garantito ex lege, i secondi si attaccano. Con un'idea di lavoro del genere i sindacati avranno sempre vita facile e rapppresenteranno sempre un fattore di arretratezza sociale ed economica.

Anonimo ha detto...

Mah! I sindacati rappresentano ormai solo se stessi.
Faccio notare che nelle zone più industrializzate e fiorenti d'Italia come il Nord-Est si registra il minor tasso sindacalizzazione. Eppure da quelle parti c'è quasi la piena occupazione.
Cmq va fatta una riflessione più ampia. In Italia, direi "costituzionalmente", esistono i Lavoratori (ossia i lavoratori dipendenti) e i Non. Ai primi deve essere tutto garantito ex lege, i secondi si attaccano. Con un'idea di lavoro del genere i sindacati avranno sempre vita facile e rapppresenteranno sempre un fattore di arretratezza sociale ed economica.

Massimo ha detto...

Robinik. Il libro di Ichino l'ho commentato già un anno fa, il 4 dicembre 2005 ne Il Castello :-)
Per il resto sono sostanzialmente d'accordo con i commenti: non è "il" sindacato ad essere sbagliato, ma come viene praticato.
Per questo è necessario dare una spallata al sistema sindacale, non con una battaglia che porta solo a compattare le file dei lavoratori dipendenti in difesa di loro prerogative (che poi sono solo privilegi dei sindacalisti), ma per realizzare un sindacato che interpreti correttamente il suo ruolo.
E, secondo me, lo si può fare solo dall'interno, con un sindacato nuovo, costruito su basi nuove e realmente alternative alla trimurti.

Anonimo ha detto...

A pensarci bene, ma proprio bene serve solo ad aumentare il tasso di inflazione.