Che siano razziali, rosa o pensionistiche, le quote sono una solenne fregatura per tutti.
Servono infatti a complicare questioni semplici in modo da potervi introdurre elementi di vantaggio clientelare.
Le quote razziali, introdotte inizialmente negli Stati Uniti della Great Society del presidente Johnson che completò, succedendogli, i disastri del sopravvalutato Kennedy, portarono all'università decine, centinaia di negri che tolsero il posto ad altrettanti bianchi, spesso più preparati e meritevoli, comportando un abbassamento significativo del livello culturale e professionale negli Stati Uniti.
Le quote rosa hanno lo stesso destino, perchè per un incarico, che sia professionale o istituzionale, occorre guardare alla competenza, al merito e, in politica, anche ai voti ottenuti, non al genere di appartenenza.
Tanto più che oggi leggo che nel Regno Unito un tizio vorrebbe che gli uomini che "si sentono donne" (sic !) partecipino alla ripartizione delle quote rose: ridicolo !
Le quote della pensione sono all'ordine del giorno.
Purtroppo da anni si parla di pensioni e i pensionandi , come i pensionati, sono diventati il bancomat di stato quando c'è necessità di iscrivere una partita di bilancio che renda meno pesante il passivo delle spese clientelari.
Draghi, che già ha dato il suo contributo al massacro sociale in Grecia, ci riprova, del resto ha nominato consulente una esperta in materia (di massacri sociali) la non compianta Fornero che continua a scrivere e parlare, senza alcun pudore per quello che ha combinato assieme a Monti.
100, 102, 103, 104, 41, stanno dando i numeri (l'unico che si possa giocare è il 41 ... a buon intenditor ...).
Draghi vuole accontentare gli avvoltoi dell'Unione del Male e mandare in pensione gli Italiani, possibilmente "mai" (tanto lui la pensione la percepisce già e con le vecchie regole).
I sindacati cercano di barcamenarsi tra l'obbedienza politica (la stessa che li ha portati ad accettare l'infamia del lasciapassare per lavorare) e la consapevolezza che possono perdere altri iscritti se non difendono quella aspettativa alla pensione dei pochi lavoratori attivi ancora loro iscritti.
I pensionandi temono di vedere il traguardo allontanarsi di anno in anno e i pensionati di vedersi toccare le già esigue pensioni percepite.
La discussione sulle quote, con il bilancino tra età e anzianità, è una discussione finalizzata non al bene degli Italiani, ma al maquillage del bilancio, per poter spostare qualche miliardo su altre partite, trovando la compensazione ai danni dei lavoratori più anziani.
Più precisamente, abbandonare la quota 100 della Lega significa obbligare dei sessantenni a lavorare tre anni in più senza veder significativamente incrementata la pensione, per consentire a dei venti-trentenni di restare sprofondati sul divano per altri tre anni con il cosiddetto reddito di cittadinanza.
Il grande errore del sistema pensionistico, fu il sistema retributivo che però, ormai, riguarda una parte sempre più minoritaria dei lavoratori attivi e, comunque, copre sempre meno il periodo lavorativo essendo ormai consolidato da almeno 9 anni il contributivo per tutti.
Con il contributivo è mal posta la questione dell'età o dell'anzianità per andare in pensione, perchè chi andasse in pensione con il contributivo integrale, percepirebbe solo e soltanto quella retribuzione differita che è dovuta in base a quello che si è versato, senza alcun onere per il prossimo.
E questo accadrebbe che si andasse in pensione con venti, trenta, quaranta anni di anzianità o a quaranta, cinquanta o sessanta anni di età.
Certo, si porrebbe il problema dell'ammontare della pensione che deve essere tale da consentire a chi la percepisce di vivere senza essere di peso alla comunità, cosa che avverrebbe se uno andasse in pensione dopo pochi anni di lavoro e con un reddito da pensione che verrebbe eroso, anno dopo anno, dal maggior costo della vita.
Per questo, finchè la pensione sarà erogata sostanzialmente dallo stato (perchè l'Inps non ha alcuna indipendenza dallo stato) uno spartiacque (età e/o anzianità da cui poter percepire la pensione) potrebbe essere utile, ma l'asticella non dovrebbe essere posta troppo in alto (60 anni di età e/o 35 di anzianità) lasciando alla valutazione dei singoli la permanenza o meno al lavoro e per il tempo che riterranno necessario.
A latere si dovrebbe incentivare la pensione integrativa e non, come è stato fatto da Monti, Letta e Renzi, aumentare la tassazione sui fondi pensione che è invece un disincentivo.
La pensione integrativa potrà assumere un rilievo sempre maggiore, tanto più se sarà alimentata sin dall'inizio della carriera professionale, per i lavoratori dipendenti con il tfr e contributi aziendali concordati contrattualmente con i sindacati.
E anche questa da poter percepire da una certa data/anzianità, ma senza imporre asticelle troppo alte.
Perchè il compito dei governi non è presentare bilanci graditi all'Unione del Male, ma ricercare e perseguire il Benessere e la Sicurezza dei cittadini.
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