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04 luglio 2022

Non saranno mai Italiani con la cittadinanza di massa

I cattocomunisti cercano da tempo di modificare la composizione etnica e sociale dell'Italia innestando orde di clandestini scaricate nei nostri porti da ong straniere e che, da un lato, ci costano miliardi (l'ultima cifra che ho letto parla di ben 8 miliardi all'anno, più della "quota cento" che ha fatto venire il ballo di San Vito ai cultori del rigore) per vitto, alloggio, cure e istruzione, dall'altro sciamano appena possono in tutta Italia, senza ordine e senza controlli.

Da tempo i cattocomunisti, che gli Italiani in maggioranza non votano più perchè non si vota chi ci rema contro, cercano di trovare nuovi elettori estendendo la cittadinanza a tutti questi stranieri.

In ultimo l'ideona di Letta e compagni è lo ius scholae, che è l'ennesima rimasticatura dello ius soli, che era la scelta dei barbari per concedere la cittadinanza, in contrapposizione al civile e di derivazione Romana ius sanguinis.

Ius scholae, nelle contorte elucubrazioni di Letta, significa che con cinque anni di ciclo scolastico, uno sarebbe pronto per essere Italiano e così si parla di 800mila nuovi cittadini.

Il punto è proprio nel numero che rappresenta, nella sostanza, una cittadinanza di massa, collettiva, che non premia il merito e che porterebbe non solo un abbassamento qualitativo e culturale della popolazione italiana, ma anche un danno enorme a quegli immigrati capaci e meritevoli, pronti a diventare Italiani.

E qui possiamo evidenziare l'estrema ignoranza dei cattocomunisti che non sanno neppure trarre insegnamento dal passato e, soprattutto, dalla Storia Romana, che è la NOSTRA Storia.

Perchè Roma, la cittadinanza, la estendeva, ma a ragion veduta, individualmente o dopo anni di assimilazione e il disastro cominciò nel 212 quando Caracalla concesse la cittadinanza di massa a tutti gli abitanti dell'Impero.

Ed ecco la parola magica: assimilazione.

I Romani sapevano che per trarre beneficio (reciproco) dall'ampliamento della base dei cittadini, era necessario che i nuovi Romani fossero già, sotto ogni aspetto, romanizzati.

Non bastava parlare latino e greco e neppure conoscere gli autori classici, era necessario aver dismesso l'abito (interno ed esterno) barbaro, per vestire la toga romana, combattuto per Roma, sentirsi Romani.

E' la differenza tra assimilazione, che è quella che chiedevano i Romani, e l'integrazione bramata dai cattocomunisti.

Con l'integrazione dei cattocomunisti abbiamo un mero affiancamento di popolazioni che arrivano sulla nostra terra, ma mantengono le loro "usanze etniche", i loro dei, il loro cibo, le loro superstizioni, limitandosi ad imparare (generalmente male) la nostra lingua.

Con l'assimilazione, invece, non esiste più il "noi" ed il "loro", perchè chi viene assimilato diventa "noi", in ogni aspetto e in ogni momento del suo vivere.

E' un processo lungo decenni, che non può risolversi con un ciclo di cinque anni di scuola pubblica (che sappiamo benissimo manda avanti chiunque pur di evitare problemi e contestazioni) ma, con buona pace della Meloni, neanche con il ciclo dell'obbligo di dieci anni.

Per essere assimilati i figli degli immigrati devono mangiare il nostro cibo, respirare la nostra cultura, vivere la nostra vita, finchè non sarà, automaticamente, anche la loro.

Ma finchè sentiranno le nostre leggi, le nostre abitudini e i nostri costumi come qualcosa di estraneo, emanazione di un popolo ostile e padronale, potranno anche imparare a memoria Dante e Manzoni, ma non saranno mai Italiani.

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