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No alla deriva

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23 gennaio 2024

Una morte che unisce

E' morto ieri Luigi "Gigi" Riva, soprannominato da Gianni Brera "Rombo di tuono".

Fa piacere, per una volta, ricordare un Uomo pubblico, perchè i calciatori al livello da lui raggiunto sono anche uomini pubblici, nella generale concordanza.

Abbiamo infatti assistito alle indecenti espressioni di odio post mortem della parte più sincera dei cattocomunisti che festeggiavano il decesso di Silvio Berlusconi, mentre noi stessi non ne siamo immuni, ma con più classe, quando abbiamo scritto che su Giorgio Napolitano non avevamo nulla da scrivere perchè "de mortuis nihil nisi bonum" e non avevamo nulla di positivo da ricordare.

Per Gigi Riva no, il cordoglio, il dispiacere è unanime, affratella.

Soprattutto noi, cosiddetti baby boomers, che abbiamo avuto la possibilità di vederlo giocare (io in un lontanissimo Bologna-Cagliari, quando entrambe le squadre avevano ormai solo il ricordo dello scudetto vinto alcuni anni prima) e, soprattutto, in televisione nelle partite della Nazionale.

Quel Campionato europeo per Nazioni nel 1969 e quel mondiale storico del 1970.

Riva era tra i convocati anche nel mondiale infausto del 1966, ma Fabbri non lo schierò e ricordo la descrizione (successiva) di un cronista sportiva che raccontava come Riva, in panchina, scalciasse con i piedi ogni volta che l'Italia si avvicinava all'area di rigore avversaria, come se volesse trasmettere la sua forza ai giocatori italiani in campo.

Riva un esempio di vita per i più giovani, nel comportamento, senza eccessi, senza veline, senza pettegolezzi sulla vita privata, senza partecipazioni a trasmissioni di infimo livello.

Riva fu però soprattutto un esempio di sportività, di coerenza, perchè rinunciò ad ingaggi ben più remunerativi per restare, sempre, nella stessa squadra che lo aveva lanciato, di una città che scelse come città elettiva.

Esempi ormai sempre più rari in un calcio sempre più professionista e sempre meno sentimentale, con Riva che per questo siede legittimamente al fianco di Giacomo Bulgarelli, Gianni Rivera e Sandro Mazzola nel Pantheon del Grandi del Calcio Italiano (che siano già deceduti o ancora godano di una vita che auguro la più lunga possibile).

Riva fu anche il simbolo di quel Cagliari che nel 1969 riuscì a vincere lo scudetto, nel nome di tante città e squadre di provincia, con quelle sorprese oggi sempre meno probabili, ma che nel passato hanno visto le vittorie di squadre "minori" come il mio Bologna (anche se qui continuiamo a vivere della gloria passata e non ci consideriamo "minori"), la Fiorentina, la Lazio, la Sampdoria, il Verona, il Torino, ma anche squadre che riuscirono a contendere il primato fino all'ultimo ad una delle "grandi", arrivando purtroppo solo seconde, come il Vicenza di Paolo Rossi e il Perugia di Ilario Castagner (allenatore).

Riva fu uno di quelli che degnamente rappresentano quella stagione storica del calcio italiano, non sapendo se e quando possa tornare, nella tristezza di vedere le squadre, anche le "minori", che scendono in campo schierando in maggioranza, se non per undici undicesimi, dei giocatori stranieri, penalizzando il nostro vivaio, senza che si cerchi di porvi rimedio, magari stabilendo che le squadre possono comprare tutti gli stranieri che vogliono, ma in campo ne possono schierare contemporaneamente un massimo di due o tre.

Anche per questo fa piacere l'unanime cordoglio per la morte di un Campione (non solo del calcio) come Gigi Riva, eternamente Rombo di tuono.

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