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No alla deriva

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25 luglio 2023

80 anni fa la fine dei Governi Mussolini

Il 25 luglio 1943, dopo una lunga e appassionata riunione del Gran Consiglio del Partito Nazionale Fascista, fu votato un ordine del giorno che in sostanza sfiduciava il Duce nelle sue funzioni di Capo del Governo.

Mussolini si presentò quindi da re Vittorio Emanuele III per rassegnare le dimissioni, il re le accettò e, con una mossa già preparata nell'ombra, lo fece arrestare mentre usciva dal Quirinale.

E' Storia.

Sulla quale la sinistra è arrivata a ricamarci sopra, organizzando persino una "pastasciutta antifascista", per un evento che i cosiddetti antifascisti dell'epoca non hanno minimamente contribuito a verificarsi.

Non c'è infatti alcun contributo di quelli che poi furono chiamati partigiani nella fine dei Governi Mussolini, dovuta esclusivamente al colossale errore di scendere in guerra assieme ai tedeschi e contro gli Inglesi e gli Americani i cui bombardamenti furono determinanti per la decisione del Gran Consiglio.

A parte quindi il ridicolo di cui, inconsapevolmente, non arrivandoci con la loro testa, si coprono i cattocomunisti che celebrano questa (come tante altre) data, mi piace evidenziare come, negli anni, non cambino molto le cose, anche se alla sciabola dell'arresto si è sostituita la liturgia dell'ipocrito "ringraziamento" per l'uscente.

Il Gran Consiglio non era infatti altro, per il PNF, che le moderne segreterie o consigli nazionali o comitati centrali dei partiti e il siluramento interno di un premier in carica è una costante dell'Italia (e non solo, basti pensare al suicidio dei Conservatori Inglesi quando hanno voluto sostituire Boris Johnson).

Mi ricordo (e sicuramente ce ne sono stati anche in precedenza, con vittima lo stesso De Gasperi) della liquidazione di Moro nel 1968 per sostituirlo con Rumor, di Fanfani prima e dopo Moro, di Andreotti, per arrivare alla cronaca contemporanea del celeberrimo "Enrico stai sereno" che fu seguito dalla sfiducia evidente degli organi dirigenti del pci/pds/ds/pd verso Enrico Letta, premier dopo Monti, che si dimise (come tutti quelli che lo avevano preceduto) per un pronunciamento del suo partito e non del parlamento, per essere sostituito dal segretario del partito Renzi.

I partiti, quindi, si fanno male da soli e se è comprensibile che la parte avversa sia contenta che la persona che, pro tempore, incarna il nemico venga costretta alle dimissioni (con il rischio peraltro che chi gli succede possa essere più abile), lo è meno festeggiare come se fosse una vittoria determinata dalla propria azione.

Non lo è oggi, come non lo fu nel 1943.


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